I contratti di finanziamento: le condizioni sospensive all’efficacia del contratto

I contratti di finanziamento: le condizioni sospensive all'efficacia del contratto

Introduzione: definizioni e inquadramento

Il finanziamento trova il proprio schema tipico negli articoli 1813 e seguenti c.c. che disciplinano il contratto mutuo. Il mutuo si caratterizza per essere un contratto a termine, reale e ad effetti reali. Il codice civile non prevede che la somma erogata a mutuo debba essere impiegata per scopi determinati.

Pur essendo il contratto di mutuo tuttora largamente impiegato, nel tempo si sono sviluppati altri schemi contrattuali che ne rispettano solo in parte le caratteristiche principali e che hanno come scopo quello di soddisfare peculiari interessi dei contraenti. L’efficacia di tali contratti atipici incontra il principale limite imposto dall’art. 1322 c.c., che vincola l’accordo alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Sarà pertanto nullo e quindi inefficace quel contratto di finanziamento che, ad esempio, sia privo di causa o che sia contrario a norme imperative o all’ordine pubblico.

Sulla possibilità di derogare allo schema tipico del contratto di mutuo e sulla conseguente necessità di individuare la causa sottostante ai contratti atipici di finanziamento si è espressa la S.C. di Cassazione con la storica pronuncia del 10.06.1981 n. 3752.

Secondo la Corte, il finanziamento altro non è che un contratto di mutuo di scopo o di destinazione, preordinato al perseguimento di determinate finalità che si diversificano dallo schema tipico dei negozi di mutuo sia per quanto attiene le modalità di perfezionamento del negozio, sia per quanto attiene la struttura dell’accordo. Può infatti legittimamente accadere che il contratto di finanziamento atipico si perfezioni con il consenso delle parti e che il soggetto finanziato non si obblighi solamente alla mera restituzione della somma erogata, ma anche all’impiego della stessa per un determinato scopo. Sarà importante, per poter deviare dallo schema tipico, manifestare espressamente la volontà di derogarvi assicurandosi al contempo di non superare i limiti stabiliti dalla Legge per i contratti atipici.

Quanto ai rimedi previsti per il caso di mancato impiego della somma erogata secondo lo scopo prefissato, il finanziatore potrà agire per la risoluzione dell’accordo, trattandosi di un’ipotesi di grave inadempimento di una delle obbligazioni assunte. Tuttavia, una recente ordinanza della S.C. di Cassazione (n. 26770/2019) ha stabilito che la deviazione della somma dallo scopo originariamente prefissato dalle parti può inficiare direttamente la causa del negozio, così ammettendo tra i rimedi esperibili anche quello dell’azione di nullità e il rilievo d’ufficio della relativa eccezione. In entrambi i casi si tratta di rimedi che faticano, per la loro complessità e per la loro durata, a ripristinare il rapporto compromesso nella sua situazione antecedente. È anche per tale ragione che la fase di negoziazione di tali rapporti riveste un carattere essenziale, perché si tratta del momento in cui le parti stabiliscono le condizioni per il raggiungimento dell’accordo con l’intento di garantirsi il più possibile la sua futura stabilità e la sua puntuale esecuzione.

Fatte queste premesse e con le dovute eccezioni, si può definire il finanziamento come quel contratto in cui una somma di denaro viene erogata per il raggiungimento di un determinato scopo, per la realizzazione di un determinato progetto o per l’acquisto di determinati beni. Conseguentemente, si comprenderà come il ruolo del soggetto finanziatore non sia più relegato a quello di mero prestatore di denaro, ma assuma invece la veste di colui che esamina e in qualche modo partecipa allo scopo che il mutuatario dichiara di voler perseguire.

Date le evidenti complessità e i maggiori rischi che accompagnano il finanziamento o mutuo di scopo, è frequente che le parti appongano delle condizioni sospensive o risolutive volte a disciplinare l’intero svolgimento – preliminare, di perfezionamento e di esecuzione – del rapporto. Dette condizioni, come appresso si vedrà, talvolta vengono apposte nell’interesse di una sola delle parti, ed in particolare nell’interesse del soggetto finanziatore. Se prima facie tale circostanza potrà non apparire problematica, in concreto pone una serie di questioni giuridiche meritevoli di approfondimento e di adeguata ponderazione.

È d’obbligo, a questo punto, passare in breve rassegna la disciplina della condizione. La condizione è un evento futuro e incerto da cui si fanno dipendere gli effetti del contratto. Può essere risolutiva, qualora al verificarsi dell’evento si risolvano retroattivamente gli effetti del contratto, oppure sospensiva, qualora al verificarsi dell’evento si producano gli effetti del medesimo (1353 c.c.). La condizione è anche elemento accidentale del contratto, con ciò intendendosi che essa non rientra nei requisiti indispensabili posti dal Codice Civile per l’esistenza e la validità del medesimo (1325 c.c.). L’apposizione di una condizione ad un contratto non richiede una forma determinata: la sua presenza e il suo contenuto si ricavano dall’interpretazione del contratto, e ciò salvo che per i casi in cui è la stessa Legge ad imporre l’utilizzo di forme particolari. Dalla presenza di una condizione in un contratto può derivare la possibilità di conoscere le ragioni per cui l’una o l’altra parte intende stipulare: il fatto che un certo evento sia posto come causa di produzione o di cessazione degli effetti di un contratto rivela l’importanza che tale evento assume per uno o entrambi i contraenti. Tale circostanza sarà d’aiuto nella ricostruzione dell’interesse delle parti e della natura della condizione apposta, con la conseguente possibilità di verificarne la rispondenza alla disciplina legale.

La condizione incontra, tra gli altri, il limite disciplinato dall’art. 1355 c.c. secondo cui è nulla l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un obbligo se questi sono sottoposti ad una condizione meramente potestativa. Trattasi, in particolare, della condizione c.d. si volam che dipende dalla mera volontà di una delle parti e che quindi presenta il tratto della unilateralità. In tal caso, il classico esempio spiega come sia del tutto illecita la condizione che reciti, in ipotesi, “se vorrò, ti concederò il finanziamento”. Non vi è dubbio, dunque, che l’accordo sottoposto ad una condizione unilaterale rimessa alla mera volontà di una delle parti sia sanzionato dalla Legge con la nullità assoluta.

Casistica

Tale circostanza crea qualche ostacolo in tutti quei casi in cui una condizione sospensiva viene apposta in un contratto di finanziamento nell’interesse di una sola delle parti. Che dire, ad esempio, della condizione sospensiva apposta dal finanziatore con cui si stabilisce che entro un certo termine il soggetto finanziato dovrà fornire determinate informazioni o garanzie? Queste ipotesi sollevano questioni relative alla validità della condizione unilaterale, alla sua rinunciabilità e alle garanzie fornite in pendenza di un contratto non ancora efficace. La distinzione tra condizione unilaterale e bilaterale è ermeneutica e si fonda sull’indagine relativa al soggetto – o ai soggetti – nel cui interesse la condizione è stata apposta. Tale interesse potrà essere esplicitato nel contratto oppure ricavabile dalla sua interpretazione. Ciò che rileva è che la Legge non pone divieti all’apposizione di una condizione unilaterale purché, come si diceva, essa non si traduca in una condizione meramente potestativa.

Pertanto, ad esempio, sarà perfettamente valida quella condizione sospensiva con cui il soggetto finanziatore imponga al soggetto finanziato di comunicare determinate informazioni o fornire determinate garanzie entro un certo termine. In questo caso è evidente che la condizione viene apposta nell’interesse di un solo soggetto (il finanziatore) e che ha ad oggetto un evento futuro e incerto: la comunicazione di informazioni o la presentazione di garanzie da parte del soggetto finanziato. Dall’altro punto di vista, tale evento non potrà che dipendere dalla volontà del soggetto finanziato – il quale, attivandosi, dovrà raccogliere le informazioni e fornire le garanzie richieste – e da un fattore incerto, ossia la concreta possibilità di riuscirci. L’ambito è quello della condizione unilaterale mista, cioè posta nell’interesse di un solo contraente ma che dipende contemporaneamente dalla volontà dell’altro contraente e da un fattore incerto: il fatto del terzo. L’ammissibilità delle condizioni miste è ormai pacificamente ammessa nel nostro ordinamento. Essendo tali condizioni frequentemente apposte nei finanziamenti di scopo e tenuto conto dell’interesse del finanziatore al raggiungimento dello scopo dichiarato, è evidente come sia meritevole di tutela l’interesse di quest’ultimo ad assicurarsi che il denaro che sta per concedere venga impiegato in un determinato modo, da parte di un soggetto qualificato e con il supporto di determinate garanzie. Fin qui dunque, nulla quaestio.

Ma che dire dell’ipotesi in cui il soggetto finanziatore decida di rinunciare alla condizione sospensiva unilaterale apposta nel suo esclusivo interesse? Secondo la dottrina e la giurisprudenza, tale rinuncia è ammissibile in ogni momento e senza formalità purché si manifesti prima del mancato avveramento della condizione unilaterale (Cass. 5699/1995) di tal modo che il contratto, da tale momento, diverrà puro e produrrà i suoi effetti ex tunc. E ciò è logico, perché se il soggetto nel cui esclusivo interesse era stata apposta la condizione sospensiva decide di rinunciarvi, l’altro soggetto non potrà che beneficiarne, non avendovi mai avuto interesse. Tuttavia, la stessa conclusione non può raggiungersi altrettanto facilmente per l’ipotesi di rinuncia successiva al mancato avveramento della condizione sospensiva, e ciò per due motivi: l’affidamento dell’altro soggetto sulla mancata produzione degli effetti del contratto e la reviviscenza ex post di un contratto ormai divenuto inefficace. L’ostacolo giuridico, come si potrà immaginare, deriva dal fatto che gli effetti della condizione sospensiva non verificatasi sono disciplinati dalla Legge e quindi tendenzialmente sottratti alla disponibilità delle parti.

L’aspetto pratico è importante. Non è infrequente, infatti, che a fronte della mancata comunicazione entro il termine stabilito di particolari informazioni richieste dal finanziatore, quest’ultimo intenda ugualmente stipulare. In tale eventualità, taluni autori escludono che egli possa forzare l’altra parte a contrarre, perché non sarebbe possibile disporre degli effetti della condizione sospensiva non verificatasi e perché tale rinuncia inciderebbe su un contratto inefficace determinandone unilateralmente ed ex post la sua efficacia.

Secondo un orientamento giurisprudenziale possibilista (Cass. 11816/1992), il contratto sottoposto a condizione unilaterale sarebbe in realtà collegato ad un’opzione per la conclusione dello stesso contratto in forma pura, ossia senza la condizione. In tal modo, colui che rinuncia alla condizione eserciterebbe l’opzione per concludere lo stesso contratto non condizionato, mentre l’originario contratto condizionato rimarrebbe privo di effetti. Tale opinione non convince, atteso che interpreta in modo additivo il contratto e non considera l’affidamento riposto dall’altro contraente sul fatto che l’accordo – non essendosi verificata la condizione sospensiva – era divenuto inefficace. Nemmeno convince la tesi che la rinuncia alla condizione potrebbe essere fatta valere unilateralmente ed ex post purché entro un termine ragionevole. Tale conclusione non consente di superare il problema logico giuridico dell’intervenuta inefficacia dell’accordo e viola il relativo affidamento riposto dall’altro contraente.

L’unica soluzione percorribile rimarrebbe pertanto quella di un nuovo contratto modificativo del primo: un nuovo accordo, cioè, con cui le parti accettano di stipulare senza la condizione sospensiva originariamente apposta e ormai verificatasi. Il consenso di entrambe le parti sulla modificazione del contratto originario appare invero l’unica soluzione percorribile ex post in grado di tutelare gli interessi di entrambi i contraenti e di superare il problema dell’impossibile reviviscenza di un contratto divenuto inefficace. Un’altra alternativa consiste nella proroga del termine entro cui la condizione sospensiva doveva verificarsi, con l’avvertenza che tale proroga dovrà avvenire sulla base di un nuovo accordo tra le parti qualora sia postuma rispetto alla scadenza della condizione sospensiva, mentre potrà avvenire anche unilateralmente (in tal caso assimilandosi ad una rinuncia alla scadenza del termine inizialmente apposto) qualora il contratto sia ancora sub conditione. In quest’ultima ipotesi, la proroga unilaterale del termine di avveramento della condizione sospensiva potrà effettuarsi sulla presunzione che l’altra parte – disinteressata alla condizione – ne abbia sin dall’inizio prestato il consenso implicito.

Alcuni autori non mancano di far notare come, con un’adeguata previsione contrattuale, tali problematiche siano in realtà prevedibili e superabili ab initio. Infatti, un contratto che individui l’interesse tutelato dalla condizione e il meccanismo di operatività della rinuncia o della proroga della stessa potrà attribuire alla parte interessata il c.d. ius variandi e quindi la facoltà di revoca o di proroga unilaterale della condizione nel pieno rispetto dei limiti di Legge e dell’interesse dei contraenti. Con tale previsione sarà possibile disciplinare finanche la rinuncia successiva al mancato avveramento della condizione sospensiva e gli aspetti relativi alla sua forma e ai suoi effetti, stabilendo ad esempio uno specifico lasso temporale dopo il mancato avveramento dell’evento in cui la parte interessata potrà esercitare detto diritto di proroga o di rinuncia. Tali soluzioni sono praticabili anche nel caso in cui il soggetto finanziato non abbia fornito le garanzie al finanziatore entro il termine stabilito. Qualora le parti siano ugualmente intenzionate a contrarre, solo un nuovo accordo avente ad oggetto la modifica del precedente rapporto e la rinuncia alla condizione sospensiva potrà superare tale impasse. Oppure, solo la preventiva previsione della facoltà di rinuncia alla condizione o di proroga del termine di avveramento potrà far salvo il contratto in modo stabile.

Ma la condizione sospensiva che impone la sottoscrizione di determinate garanzie pone anche un altro problema pratico: la difficoltà di ottenere garanzie riferite ad un contratto ancora inefficace. In tal caso si potrà proporre al terzo garante di condizionare risolutivamente la garanzia alla successiva efficacia del contratto di finanziamento, così da consentire il verificarsi della condizione sospensiva apposta al finanziamento e da permettere al garante di svincolarsi dalla garanzia nel caso in cui il finanziamento non vada a buon fine.

In estrema sintesi, l’unilateralità di una condizione sospensiva non comporta la rimessione dell’avveramento della condizione alla mera volontà della parte che l’ha apposta, perché la decisione della parte interessata in ordine alla disponibilità di tale condizione non è rivolta a mettere in forse la stabilità del contratto, bensì a rafforzarla. Ad ogni modo, non vi è dubbio che tanto meglio sarà disciplinata fin dall’inizio la disponibilità della condizione sospensiva unilaterale – specie con riferimento alle ipotesi di rinuncia o di proroga del termine di avveramento – e tanto più il contratto potrà garantirsi la sua futura stabilità nel rispetto degli interessi di entrambe le parti.

Bibliografia

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  • Alpa, R. Garofoli, Manuale di diritto Civile, 2014;
  • Bachin, la condizione unilaterale, un test dell’autonomia contrattuale;
  • Petrelli, Clausole condizionali e prassi notarile, Notariato n. 2/2001;
  • Smiroldo, Condizione unilaterale di vendita o di preliminare di vendita immobiliare.

Data articolo: novembre 2020